da Trasparenza

Maria Borio

Isola

Nella notte il vetro dei grattacieli di Isola
sembra una faglia sull’orizzonte,
il semicerchio della struttura che dice
il potere di rendere solida l’acqua
e liquefarsi al momento
che hai finito di circoscrivere.

Qui le ore per buio distinguono
il silenzio netto, il rullio dei treni,
le gocce nell’aria, le fibre–
ma l’alba ci ha fermato in un suono contorto:

le curve del tempo vuoto
la fuga nel sottopassaggio
l’elettricità aperta tra gli ascensori e il cibo decongelato
gli artefici di questa pulizia di vetro
o una prova molto umana per fermare un azzurro
fragilissimo.

Seduti al limite della fontana
ecco il sorpasso: il freddo
incorruttibile del buio
si restringe e una folla normale

scala i tratti del volto. Al bar mi dici
che è metafora del mondo
oggi trattenendo il cibo nella bocca
il grande vetro di questi edifici
e il cibo profondo negli organi:

meccanica e carne invisibili lavorano
e la loro imperfezione avvolge al puro e all’impuro
entrando uscendo dal grande vetro
come l’arte afona e oscura di Duchamp
taglia a sezioni.

Nel caso premi la mano, può frangersi

o resistere come l’etere resiste,

e lì coscienti o da noi separati

puro e impuro,

il grande schermo di Isola

o un continente.




Dorsoduro
I

Le case sull’acqua avranno solidità
ma gli occhi intorno non sono umani.

Tra atmosfera e atmosfera tutto si trasforma.

Un suono umano è disumano.



 
II

Resistono piante d’acqua. Immaginiamo
che ci raggiungano da un nucleo profondo.

Il giardino è in equilibrio senza atmosfera,
si riflette nell’acqua per sintesi di luce

attraverso la città che ha forma di pesce
ma scorre senza natura vegetale o animale.

Allora papadopoli tra atmosfera e atmosfera
fa un’energia invisibile, un equilibrio steso.

Questo giardino non ha natura, non è giardino.
 
Equilibrio sulle acque è equilibrio?
 



III

Il male è nascosto nella nebbia del mare.
Un uncino lo porta avanti e indietro.

Ci siamo persi di notte su questa riva,
le luci oscillano sopra le spalle.

Non siamo più uomini ma suono
che cuce dorsoduro alla giudecca.

I motori scrivevano densamente l’acqua.

Ora un silenzio fitto nel reale portato.