da Nuovi giorni di polvere

Yari Bernasconi

Cartolina da Saint-Gilles-du-Gard
 
Sassi, dietro il cancello e la catena. Dietro le ruggini
della barriera. Una guida racconta del miracolo
finito in niente: sabbia e polvere. Racconta
le persecuzioni e le guerre. La cattedrale
delle cattedrali, era: ora è ridicola. Uno scherzo
per i pochi turisti.
 
Sulla facciata si è salvata soltanto una testa:
la prostituta accovacciata tra le gambe di chi cammina,
tra gli sputi e lo sporco. Volti vuoti, gli altri, spazzati
con pochi colpi di martello.
 
                                                Lei no. Lei ha ancora
due occhi per guardarsi attorno. Senza vergogna,
questa volta: più nessuno a scrutarla dall’alto.
Più nessuno a deciderle un perdono.
 
 
 
Cartolina da Herisau
 
Dalle colline si vede San Gallo, rassicurante,
col suo stadio. Gli anziani stanno insieme, salutano
il soldato che torna in caserma dagli altri.
Immacolate, le case e le facciate respingono i prati,
troppo verdi. Ristagna una fierezza vaga:
le nostre donne, le nostre terre, le nostre bestie.
 
È strano che in un bosco, proprio qui,
ci sia il corpo senza vita di una bambina.
Così stonato. È strano che una terra come questa
dia anche, ogni tanto, di chi morire.
 
 
 
Conversazione con Maria (frammento)
 
“Correvamo a raccogliere lo zucchero caramellato
dai bombardamenti. Noi due bambine, di nascosto,
nelle pause dei campi o più tardi, la sera.
La scuola elementare era chiusa da tempo.
Solo che una volta, sotto un cielo di piombo,
arrivate al vagone udimmo tante voci
e rumori. Scappammo senza voltarci, solo terra
e gambe e il nostro cuore che batteva.
Qualcuno mitragliava. Giunta al paese
non avevo più fiato. Mia sorella maggiore
mi picchiò sulla testa con le nocche
e mi diede dei calci. La mia amica, invece,
non arrivò. Né mai nessuno fu più in grado
di ritrovarla”.
 
 
 
Sul treno per Zurigo
 
Il treno per Zurigo è anche il treno di questi ruderi,
di queste case ai margini, sporche di polveri pesante,
dove i muri si scrostano e si staccano dalle travi.
 
(“Usurpatori”, dice l’uomo al telefono, “Gli stranieri,
i clandestini, gli immigranti: tutti”.)
 
È anche il treno dei morti, questo: di chi è morto al lavoro,
tra tanti, e di chi sarebbe morto volentieri ma vive
abbandonato ai suoi spazi ristretti di sempre, dimenticato
da promesse lontane e nebulose.