Niente più culto dei morti nell’Italia del Novecento

Christian Raimo

Photograph by Laura Blight

Io e Nicola eravamo stati amici, molto amici, stretti, sodali, due carte da gioco napoletane in un mazzo da poker, ed era stato così vero soprattutto nei tre anni in cui le cose stavano andando talmente a catafascio che potevamo passare le ore a fare battute sarcastiche sul fatto che non avevamo i soldi per comprarci una corda buona da agganciare al soffitto.

In un’Italia appestata dalla crisi economica, nel maggio assolato e ventoso in cui per un periodo ci dividemmo un appartamentino a San Giovanni, le cose erano andate più o meno in questo modo: io ero depresso perché ero depresso, e Nicola era depresso perché—fuori tempo massimo, senza nemmeno uno straccio di mitologia da maudit che gli concedesse il balsamo di una motivazione, e per giunta nevrotizzato dai sensi di colpa—si stava sputtanando i pochi soldi che gli passava una web-agency facendosi nelle vene. Io lo guardavo con occhi abbacinati, abbozzavo meraviglia: preparare tutta quella roba lì, le bustine di cellophane, i filtrini di ovatta, il cucchiaino . . .  Tutti i pulpiti su cui sarei dovuto salire per oppormi o almeno biasimarlo mi sembravano troppo alti e impervi, e del resto ero convinto che lui ce l’avrebbe fatta perché aveva una fidanzata, Betta, che nonostante tutto gli voleva bene, come lui era convinto che io mi sarei salvato perché avevo una famiglia che di fronte a qualunque sdrucciolone nel dirupo più profondo mi avrebbe fatto da materasso; ma questo, appunto, non ce lo dicevamo.

Ora—come succede nei peggiori racconti—erano passati due anni e mezzo, e io ero tornato a vivere al Tuscolano con i miei, che è vero, erano sempre stati protettivi, ideologici nella loro concezione di famiglia—mia madre, adesso in pensione, mi martellava da quando mi sedevo per la colazione a quando mi ritiravo a dormire su quanto fosse importante tenere unita la famiglia: qualunque cosa volesse dire. Nicola non avevo potuto vederlo per più di un anno, l’intero tempo che aveva passato nella clinica di disintossicazione, dove i medici gli avevano intimato di troncare con tutte le relazioni pregresse—le persone colpevolmente indulgenti—finché non fosse arrivato alla consapevolezza di essere pulito.

Così era avvenuto che da un giorno all’altro, nel moto inerziale della coabitazione a San Giovanni, io mi ero ritrovato ad aver perso un amico, con la promessa vaga che sarebbe ritornato, e quindi ora, dopo aver risalito ogni tornante del purgatorio, sembrava proprio che l’orizzonte si fosse fatto almeno visibile e—arresi, forse anche semplicemente più vecchi, o nostalgici—noi due potessimo riavvicinarci: Nicola veniva a trovarmi, si lasciava offrire un caffè dopo l’altro, e parlava, mi chiedeva scusa, spesso senza un rapporto con qualche colpa chiara.


Christian Raimo Le persone, soltanto le persone, (c)Christian Raimo, 2014, (c)minimum fax, 2014. All rights reserved.