Un sambuco attraversa il mare

Ubah Cristina Ali Farah

Illustration by Naï Zakharia

Quando morì mia nonna erano molti anni che non la vedevo, per questo non piansi quando morì a Eyl, dove era sempre vissuta. Piuttosto rimasi sorpresa, poiché la stessa notte, quella della sua morte, l'avevo sognata ed era la prima volta, da quando vivevo in Europa, che mia nonna mi compariva in sogno. Anzi si può dire che non mi comparisse affatto e improvvisamente l'avevo sognata, proprio la notte della sua morte.

Nel sogno mia nonna sciacquava le stoffe nel mare ed era seria, come sempre è stata seria nella sua vita. Al risveglio, l'avevo ricordata seria com'era, dritta e dura come un fusto, il guntiino stretto in vita, un fazzoletto rosso sulla nuca. Era un ricordo simile a una fotografia in posa, poiché mia nonna non si muoveva, rimaneva fissa su una lunga pertica e intorno aveva il mare anche se il mare lei l'aveva sempre odiato.

Avevo un'amica all'epoca e le raccontai del sogno e della nonna, non lo raccontai in modo speciale, né cerimonioso, né drammatico, raccontai solo cosa era avvenuto e la mia amica rimase un poco in silenzio e poi disse in modo speciale e cerimonioso e drammatico che ci doveva essere un grande legame tra me e mia nonna se avevo fatto quel sogno.

Io pensavo al legame e pensavo che forse era inopportuno non avere un legame, ed era inopportuno che mia nonna comparisse dopo tanto tempo in sogno.

Allora la chiamai e vidi di nuovo l'oceano come lo vedevo da bambina e sentii di nuovo i demoni nascosti in mezzo agli scogli sibilare il mio nome. Corsi lontano senza girarmi, con il mio nome in bocca, corsi dove gli incensieri erano accesi e i jinni non mi potevano afferrare.



*

L'avevo chiamata e mia nonna si era allontanata dal mare, perché lei non l'amava, e mi aveva mostrato la strada per salire a Eyl Dawaad, nascosta tra le valli, poco distante dalla Eyl Badey costiera da cui oggi salpano i pirati. Indicava il villaggio in cui mio padre era nato, quello in cui prometteva sempre di portarmi, lo indicava tutto, e un fiume l'attraversava, e c'erano animali e latte in abbondanza.

Il suo villaggio, a monte, non aveva a che fare con il mare.

Mia nonna si allontanava dal mare e sembrava tenere ancora la primogenita stretta al petto, mentre raccontava del giovane marito naufragato sul sambuco. Dondolava le braccia e cantava una canzone che sanno tutti doon bad mareysa, badda doon baa mareysa, mayddi bay sittaa , mayddi iyo malmal bay sittaa, un sambuco attraversa il mare, un sambuco attraversa il mare, porta incenso e mirra, porta incenso e mirra. Da Eyl Badey partivano vascelli carichi di pelli e di animali, tornando colmi di datteri e di riso. Suo marito era un giovane commerciante, perito in mare quando mia nonna aspettava la sua prima bambina.

E nella stessa Eyl, nascosta tra le colline, era nato anche mio padre, il cui nome è af dabeyl, bocca di vento, per la memoria prodigiosa nella voce.



*

Non era nato nella mia Mogadiscio di case bianche, bianche come ossa spolpate, simili a relitti sulla costa. A Mogadiscio mia nonna giungeva solo in visita, perché lei non avrebbe mai lasciato Eyl, non avrebbe mai lasciato la sua casa, non avrebbe mai lasciato il villaggio fresco tra le colline, ricco d'acqua e di animali. Io non ero mai stata in quel villaggio, né visto la sua casa, né nuotato nel suo ruscello. Avevo solo pianto un mattino, per la mancata promessa di mio padre, partito a mia insaputa per il nord.

A Eyl, che era soltanto un villaggio, dicono che oggi girino macchine lussuose e che gli uomini mostrino monete d'oro tra i denti. Mio padre non sogna più una vecchiaia tra le colline, ricca di datteri e di latte. Sua madre ha lasciato un posto vuoto nella valle. Dicono anche che il litorale sia infetto e i bambini nascano senza bocca.



*

Da tempo, l'ambiente naturale della costa veniva stravolto. Le ricchezze spazzate, l'equilibrio rotto. Potevi macchiarti di catrame camminando sulla sabbia, o tagliarti con una lastra di alluminio.

A noi raccontavano di ragazzi corsi in mare per la palla, assorbiti tra le onde in un batter d'occhi. Non erano i jinni questa volta i responsabili, né le sirene cannibali tra gli scogli, ma gli squali, i più terribili, i più voraci, certi giorni catturati e trascinati sulla spiaggia e poi calpestati dalla folla imbestialita.

All'inizio degli anni Ottanta il lido di Mogadiscio fu travolto da una duplice tragedia. I soldi delle cooperazioni ci regalavano un nuovo porto e un macello modernissimo e automatico, le bestie decapitate e il sangue convogliato in direzione della Mecca.

Per far spazio alle navi più grandi, molta parte della barriera corallina fu distrutta, mentre i veleni del macello venivano scaricati in mare.

Dalla barriera spezzata, attirati dall'odore del sangue, gli squali entravano impazziti e si spingevano fino a riva. L'oceano, grosso di spugne e di conchiglie, dalle pozze multicolori di pesci farfalla, ora riportava solo corpi amputati e odore di morte. Il paese andava smembrandosi.



*

Il suono dell'oceano, il suo fragore, è il leitmotiv della mia infanzia.

L'oceano ribolliva come piombo fuso e poteva deformarti il cuore. Nella sabbia i tuoi piedi diventavano radici d'acqua e di iodio, le tue ossa crescevano di silicio e sale.

Il mio oceano era una pozza di conchiglie rosse e di spugne impregnate, un cavità segreta di meduse e dollari di mare.

Dopo il 1991, la guerra e l'esilio, Mogadiscio è per me una città di cui non ricordo le strade, una città piena di luci abbaglianti e di mura scavate. Per molti anni non ho visto il mare. La prima volta è stato a Sabaudia, a sud di Roma. C'era chi rideva perché pensavo che la marea si gonfiasse in poche ore. Non mettete il vostro telo vicino all'acqua, o il mare lo porterà via.

Le onde in Italia, mi dicevano, non si mangiano tutto.

Il mare in Italia, non si ritira neppure.

Bisogna attraversarlo per accedere alla roccaforte, bisogna attraversare il mare mediano, mar Mediterraneo, il mare bianco per gli arabi.

In tanti affrontano il mare bianco. Ma dalle mie coste, sul corno d'Africa, prima del mare bianco qualcuno sfida l'oceano su un sambuco. Vuole sapere se è proprio necessario arrivare tanto lontano.



*

Se vai in riva al mare, molte donne vorranno raccontarti la loro storia. Alcune ci sono entrate nel mare e sono arrivate dall'altra parte. Alcune vorrebbero entrarci. Altre aspettano il figlio, partito da qualche giorno, o il fratello o lo stesso amato. Guardano l'orizzonte e indicano ai bagnanti le vele o i motoscafi di passaggio. Vogliono sapere quanto può essere grande, quanti ne conterranno, le stive e i ponti dei loro figli, dei loro amati, dei loro fratelli.

Una donna rotea le braccia, le alza al vento e ride. Si chiama Dahabo e ha un'amica accanto a lei, dicono siano inseparabili. Sono naufragate insieme e non entreranno mai più nel mare.

Il sambuco era così pieno e c'era gente, tutta in ghingheri, piena d'oro. Dahabo conosceva tutti e aveva detto loro di vestirsi leggeri. La barca si è ribaltata proprio vicino alla costa, e tutti gridavano i nomi di tutti, afferrando quello che trovavano per rimanere a galla. Si era allontanata nel buio, perché lei sa nuotare, è nata a Baidoa, ed è proprio nel fiume che ha imparato a nuotare. Si era allontanata perché chi sta affogando trascina con sé tutto quello che trova, pur di guadagnare un minuto di respiro. Era notte e sentiva le voci chiamare il suo nome. Poi una tra le altre si era fatta più vicina, ed era l'amica con cui non era ancora così intima e la chiamava, Aiutami, non lasciarmi morire. Dahabo era aggrappata a uno scoglio e aveva detto, ti aiuto, ma promettimi di non trascinarmi a fondo, poi si era ributtata in mare per mostrarle la via. L'amica l’aveva seguita a nuoto e insieme avevano aspettato l'onda giusta che le spingesse sugli scogli. Dopo tempo che stavano distese, lunghe e assiderate, erano arrivate le motovedette e avevano acceso luci abbaglianti e vedendole bagnate e tremanti, avevano chiesto loro di togliersi i vestiti.

Allora, dice Dahabo tenendo le mani a coppa sul seno, si era vergognata perché aveva dimenticato di mettersi il reggiseno prima di partire. E i suoi seni non sono più quelli di una donna giovane e Dahabo si era trovata a petto nudo, senza reggiseno davanti alle motovedette. Allora, ripete ancora continuando a tenere le mani sul seno, lo dice sempre a tutte le donne di non dimenticare mai di mettersi il reggiseno prima di partire.