Cervi

Steven Grieco

Mi racconta calmo di quel che avvenne.
Non ci aveva nemmeno fatto caso,
ma in quel punto l'autostrada
attraversava una foresta.

Dopo buio, d'un tratto,
il profilo maestoso
gli occhi illuminati nei fari:
poi la frenata, un urto nauseante,
la testa che gli batte forte sul parabrezza.
Solo di sfuggita accenna al dopo,
la fronte insanguinata (niente di grave
per fortuna, poco più d'un graffio),
l'auto rovesciata, la polizia.
E la forma sull'asfalto,
il corpo senza vita
che due addetti trascinano via
davanti all'enorme colonna di auto ferme.

È curioso, mi dice, come adesso ricordi solo
l'attimo-sguardo prima dell'urto,
se suo o della bestia, non saprebbe dire:
da cui luce profonda, prodigiosa,
irradia verso un soccombere più vasto
che ignora questa morte isolata:
e la sensazione che
nello specchio sovrumano di quello sguardo
(l'autostrada, il bosco, le ombre al galoppo)
fosse apparsa l'immagine rara e fugace
della sua totalità.

Adesso che lui rievoca e io ascolto, appaiono
davanti a noi smisurati orizzonti
e grandi interrogativi, pregni di significato;
che poi lasciamo per conclusioni più modeste,
al riparo da quella visione
che ci scuote con troppa veemenza.

E quando infine è ora di alzarsi e salutarsi,
sorge in noi il dubbio che il nostro intendere
sia come la squama,
da cui la serpe si è divincolata.


1990